venerdì 15 dicembre 2017

I canditi che non ti aspetti!!

Quando si parla di frutta conservata si parla anche di canditi e oggi il Calendario del Cibo Italiano celebra proprio la loro giornata. Con l'occasione ripropongo l'articolo pubblicato qualche tempo fa sulla canditura. Buona lettura a tutti.

I canditi non sono mai stati particolarmente amati a casa mia. In effetti, la maggior parte di quelli che si trovano in commercio non ha né il colore, né il sapore degli agrumi, tantomeno della frutta in generale. Poche sono le aziende (personalmente ne conosco solo una per la verità) che hanno davvero una frutta candita di tutto rispetto, ma per chi, come me, è una semplice amatrice del settore, diventa un po’ difficile reperirla (oltre che un tantino costosa!!)…. Tra l’altro, sfogliando i libri in mio possesso (tra cui quello mitico del maestro Leonardo Di Carlo)  che trattano l’argomento, necessiterebbe un’attrezzatura particolare, il rifrattometro* (una specie di piccolo cannocchiale) anche quello non di facile reperibilità e non proprio a portata di tasca per chi ha un budget limitato!......Quindi che fare??.... Eh beh… bisogna ingegnarsi!!!  ­In effetti la canditura* è una un’antichissima tecnica di conservazione della frutta che, ai giorni nostri, richiederebbe regole precise, a cominciare dalla misurazione dei gradi Brix* che, per l'appunto, si effettua con il rifrattometro di cui sopra. Dovendo scegliere se continuare a comprare canditi senza poi poterli gustare appieno oppure rinunciarci, ho cominciato a girovagare per il web e, tra i tanti articoli e post trovati, mi sono imbattuta in un blog, Ombra nel portico, che parlava dei canditi del maestro Rolando Morandin. L’argomento era spiegato così bene e in modo talmente chiaro che ho deciso di mettere insieme quello che avevo appreso dai libri a quello che ho letto su questo blog e provarci. E il risultato è stato davvero sorprendente!!!! Certo, a livello artigianale bisogna che si abbiano le attrezzature adeguate, ma dovendo fare una piccola produzione limitata al consumo personale, posso dire che anche senza rifrattometro i risultati ci sono (ripeto, sempre con la massima attenzione e seguendo scrupolosamente tempi e regole) e davvero si avranno dei canditi belli, profumati e polposi che fanno gola anche a chi non li ama particolarmente.



Canditi di agrumi

Per questa preparazione non vi darò delle dosi specifiche, vi regolerete voi stessi in base alla quantità di scorze che vorrete candire.
I passaggi, anche se richiedono un po’ di tempo, sono davvero semplici, basta seguirli attentamente e otterrete un risultato eccellente.

Si comincia con l’incidere le bucce degli agrumi e tagliarli a spicchi o, se si vuole un risultato più pratico al momento dell’utilizzo, anche a cubetti o a strisce in lunghezza, in base all’uso che se ne dovrà fare (io li ho tagliati a filetti per comodità). A questo punto si lasciano per un minimo di 24 ore (sarebbe meglio 48 visto che si tratta di agrumi) in acqua corrente (o cambiandola anche 3 o 4 volte al giorno), per far perdere loro l’amaro e dilatare le fibre.  Poi si fanno bollire, immergendole in acqua a freddo, per almeno 2 ore  (o comunque per il tempo necessario ad ammorbidirle bene. Provare la consistenza con uno stecchino, nel caso prolungare la cottura di 10 minuti in base all’occorrenza). Prelevarle con un mestolo forato, avendo l’accortezza di non toccare la frutta con le mani, e, facendo attenzione a non romperle, trasferirle su carta  assorbente e farle sgocciolare bene in modo da fa perdere loro l’acqua in eccesso.



A questo punto si passa a preparare lo sciroppo di canditura. Le proporzioni sono 1 a 2 cioè, per 500 g di bucce necessitano 1 kg di acqua e 1 kg di zucchero. Versare i due ingredienti in un pentolino e , mescolandoli, portarli a bollore mantenendolo  per 3  minuti circa. Versare lo sciroppo ottenuto ancora bollente sulle bucce e lasciare riposare per 24 ore controllando che le stesse siano ben coperte dal liquido. 
Adesso ci sarebbero due strade da seguire, scegliere il metodo francese o quello italiano. Poiché il primo richiede le attrezzature di cui sopra, io ho seguito il secondo. Quindi, trascorse le 24 ore, prelevare con un mestolo forato (o scolare con un colino) le bucce riportando di nuovo a bollore lo sciroppo ancora per circa 3 minuti e versarlo nuovamente bollente sulla frutta. Ripetere l’operazione ogni 24 ore per un minimo di 5 fino anche a 10 giorni (dipenderà dalla pezzatura). I canditi saranno pronti quando sulla superficie si sarà formata una patina, un piccolo velo che si chiama pelle d’aglio, indice di avvenuta canditura (70°Brix).

Finita la canditura, si passa alla conservazione. Trasferite i canditi, sgocciolati dallo sciroppo, in barattoli puliti, sterilizzati e asciutti, sistemandoli bene.  Portare nuovamente a bollore lo sciroppo di canditura insieme ad una piccola parte di sciroppo di glucosio, che servirà ad evitare  la cristallizzazione degli zuccheri (considerate che  su 1 l di sciroppo occorre 100 massimo 150 g di sciroppo di glucosio, per cui fate voi le proporzioni), quindi versatelo sulla frutta coprendo il tutto. Chiudete bene i vasi e sterilizzate in acqua bollente per 20 - 40 minuti, in base alla grandezza dei barattoli (io ho adottato il metodo che ho usato per la Confettura di fragole e frutti di bosco allo zenzero). Trascorso il tempo di sterilizzazione, raffreddare delicatamente l’acqua in modo da evitare shock termici e l’eventuale rottura dei vasi, prelevare gli stessi dal contenitore e farli raffreddare il più in fretta possibile temendoli sotto l’acqua corrente per un’ora circa. A questo punto si sarà formato il sottovuoto quindi asciugarli bene e conservarli lontano dalla luce e dal calore.

*Rifrattometro: è uno strumento, simile ad un piccolo cannocchiale, che in pasticceria serve a misurare i gradi Brix nelle preparazioni con alta densità di zuccheri. Si utilizza sporcando con una piccola quantità di liquido la lente dello strumento, lo si punta verso la luce del sole e all’interno si leggerà il valore dei gradi.

*Brix: è una scala in gradi che mostra la concentrazione percentuale dei solidi solubili (zuccheri, sali, alcune proteine) in un campione di soluzione liquida.

*Canditura: è un antico metodo di conservazione di parti di piante commestibili (solitamente frutta, ma anche fiori) mediante immersione in uno sciroppo di zucchero. Il processo è effettuato grazie all'osmosi, durante la quale avviene la graduale concentrazione di zuccheri ceduti dallo sciroppo all’alimento mentre quest’ultimo perde l’umidità in esso contenuta. Tale scambio impedirà alterazioni microbiche nel prodotto finito.

Consiglio di invasare in barattoli piccoli (io ho usato quelli da 125 g), in modo da poter consumare il più in fretta possibile tutto il contenuto. I vasi aperti vanno comunque conservati in frigorifero e consumati entro 4 – 5 giorni.





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mercoledì 13 dicembre 2017

La Cuccia: il grano nella sua tradizione.

Ci sono piatti tradizionali che risalgono ad epoche antiche e i cui ingredienti hanno fatto la cultura culinaria dei popoli. Ricette contadine ricche di ingredienti “poveri” che erano il sostentamento della famiglia. La Cuccìa era uno di questi piatti e oggi il Calendario del Cibo Italiano vuole festeggiarlo. È un piatto a base di grano perlato bollito e condito nei modi più disparati… dal salato al dolce, dalla Campania alla Sicilia, dalla Puglia alla Calabria ogni regione ha la sua versione. I condimenti possono essere vari ed io, per celebrare la giornata, ho scelto una versione pugliese semplicissima ma molto gustosa, tratta dal'opuscolo "La Cuccia - chicchi di grano conditi" Dea Editori. Seguitemi, vi farò vedere come si prepara.





Cranu cu lu sucu (grano con il sugo)*

Ingredienti (per 4 persone)

500 g di grano bollito (cranu stumpatu*)
500 g di passata di pomodoro
80 g di pecorino grattugiato
1 cipolla rossa media
1 mazzetto di basilico
Olio extravergine di oliva, pepe e sale

Preparazione

Sbucciare e affettare la cipolla a rondelle, farla appassire in una padella capiente con un filo di olio e aggiungere la passata di pomodoro e il basilico spezzettato con le dita. Cuocere per 10 – 15 minuti, aggiustare di sale e unire il grano bollito lasciando insaporire il tutto ancora qualche minuto. Servire in tegamini, possibilmente di coccio, spolverizzando di pecorino grattugiato e pepe nero macinato fresco.

*Il cranu stumpatu (grano pestato) è il grano duro perlato. La perlatura si effettua pestando i chicchi in un grosso mortaio di pietra con un pestello di legno, generalmente d’ulivo. Per il trattamento viene prima messo a bagno in acqua per almeno 12 ore. Una volta scolato e asciugato, viene pestato con attenzione fino ad ammorbidirlo ma senza rompere le cariossidi. Prima della cottura lasciarlo a mollo per una notte, lavarlo e lessarlo in abbondante acqua salata per 1 – 2 ore, a fuoco lento senza mai girarlo.


*Di questa ricetta ci sono diverse varianti: con ricotta piccante e salsa di pomodoro fresco, con i ceci, con i frutti di mare e in una frittura di pasta lievitata ripiena di grano bollito, pomodorini e alici.





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sabato 9 dicembre 2017

Petrali: il Natale di casa mia.

Il Natale è fatto di tradizioni che riportano sempre alla memoria profumi e sapori che si ripetono ogni anno. Una delle tradizioni di casa mia ha il profumo intenso di mandarino e cannella… di vino cotto e frutta secca. È fatta di biscotti ripieni di un dolcissimo e profumato miscuglio, che matura e si insaporisce piano piano. Ha la pazienza antica del saper aspettare! Si, perché questi biscotti sono l’attesa del dolce…. la promessa del buono… e la scoperta di profumi antichi e familiari. Gesti pazienti che si tramandano di generazione in generazione e che riportano, ogni anno, alla memoria il profumo che si spandeva per casa e che ti faceva esclamare “finalmente è Natale!”. E anche quest’anno, per Natale, la casa è pervasa dal profumo di petrali! Questo è il nome di questi biscotti ripieni antichi e semplici che, come altri biscotti della tradizione natalizia italiana, sono celebrati oggi dal Calendario del Cibo Italiano. La loro origine è incerta ma si dice che la loro creazione sia dovuta ad un prete e la sua perpetua. Come tante pietanze “povere”, anche questi dolci sono il risultato dei rimasugli della dispensa dei dolci. Il ripieno va preparato con diversi giorni di anticipo in modo che possa sviluppare al meglio i profumi e i sapori si possano fondere in un’armonia di dolcezza e golosità. Provate a farli, magari con i vostri bambini, e vedrete come il profumo del Natale arriverà prima che voi ve ne accorgiate!




Petrali

Ingredienti (per 50 biscotti)

La frolla

500 g di farina debole 180W
2 uova (100 g)
100 g di burro
1 bustina di baking (lievito per dolci)
1 bacca di vaniglia
200 g di zucchero
1 pizzico di sale
La buccia grattugiata di un limone
50 ml di latte (q.b. secondo assorbimento)

Il ripieno

125 g di fichi secchi
50 g di mandorle scure
35 g di noci
50 g di uvetta
½ cucchiaino da tè di cannella in polvere
La punta di un cucchiaino da tè di chiodi di garofano in polvere
20 g di cacao amaro
50 ml di caffè zuccherato
La buccia di ¼ di arancia
La buccia di 1 mandarino
50 ml di marsala secco
75 ml di vino cotto
30 g di zucchero

Procedimento

Per il ripieno (da preparare almeno 3-4 giorni prima)*
Tagliare a pezzi i fichi, metterli a bagno nel vino cotto, insieme a metà della dose di uvetta, e lasciare macerare fino a completo assorbimento. Trasferire poi la frutta ammorbidita in un cutter e frullare tutto molto finemente. Con un pelapatate, prelevate la buccia dell’arancio, facendo attenzione a non intaccare anche la parte bianca che renderebbe amaro il composto, e tritala molto finemente a coltello, insieme alla buccia del mandarino. Tritare grossolanamente, sempre a coltello, mandorle e noci e unirle ai fichi frullati in una ciotola (possibilmente di vetro) sufficientemente grande da contenere tutti gli ingredienti del ripieno. Aggiungere il resto dell’uvetta ammorbidita insieme al suo liquido, le bucce
tritate, le spezie, il cacao, lo zucchero, il marsala e il caffè mescolando e amalgamando bene tutti gli ingredienti. Coprire con pellicola e lasciare macerare il ripieno per 3-4 giorni mescolando ogni tanto. Il composto deve risultare morbido, nel caso fosse necessario ammorbidirlo ulteriormente aggiungere ancora qualche cucchiaio di caffè.

Per la frolla
Setacciare farina e baking e unirli al resto delle polveri (zucchero e sale) in una boulle, o nella ciotola della planetaria munita di foglia, mischiando bene con una frusta. Unire buccia di limone, la polpa della vaniglia e il burro morbido e cominciare ad impastare. Aggiungere le uova e, poco alla volta il latte (la dose può variare in base all’assorbimento della farina) lavorando il tutto velocemente. Formare un panetto compatto ma grezzo, avvolgere in un foglio di pellicola alimentare e lasciare riposare in frigorifero almeno un paio di ore (meglio tutta la notte).

Composizione
Stendere la frolla a circa 5 mm di spessore e coppare dei dischi di 8 cm di diametro. Porre al centro di ogni disco un cucchiaino di ripieno, richiudendolo poi a metà in modo da formare una mezzaluna. Disporre i biscotti su un vassoio e metterli a riposare 10 minuti in congelatore in modo da stabilizzare la struttura dell’impasto. Prima di infornare spennellare con uovo sbattuto e cospargere di “diavulicchi” (confettini di zucchero colorato). Cuocere su teglie microforate in forno a 170° per 20 minuti circa.

*Il ripieno si conserva per più giorni senza problemi, più riposa più si amalgamano gli ingredienti e si sviluppano i profumi e gli aromi.
Per lo stesso motivo, i biscotti si assaporano meglio se gustati il giorno dopo la cottura.






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lunedì 27 novembre 2017

Buon viaggio Doc.

Non sono mai stata molto brava a scrivere, in alcune occasioni lo sono ancora meno! Questa è esattamente una di quelle. Come si fa a ricordare e a parlare di qualcuno che non si ha avuto l’occasione di poter conoscere di persona ma che, anche solo con uno scambio di battute, ti è rimasto nel cuore per la sua grande gentilezza d’animo e la sua enorme conoscenza? Solo poche parole ci siamo detti ma tanto è bastato! E oggi, per te, in tanti ci stringiamo in un abbraccio collettivo che racchiude tutta la stima e l’affetto per coloro che restano. E in quest’abbraccio collettivo riporto Il pane dolce del sabato di Eleonora Colagrosso esattamente così come lei lo ha fatto, post compreso. E sono certa che non ne avrà a male se uso anche la sua foto, perché questo post è per lei, per Micol e nel ricordo del Doc Michael Meyers. Buon viaggio Doc.



Il pane dolce del Sabato

Per due trecce ripiene:

500 gr di farina 0
2 uova grandi medie (circa 60-62 gr con il guscio)
100 gr di zucchero
20 gr di lievito di birra
125 ml di acqua tiepida
125 ml di olio extra vergine d'oliva
10 gr di sale
100 gr di uva passa
un tuorlo d'uovo
un cucchiaio di acqua
semi di sesamo e papavero


Prima di tutto e importantissimo, setacciare la farina. Sciogliere il lievito nell'acqua tiepida insieme a un cucchiaino di zucchero e far riposare una decina di minuti fino a far formare una schiuma. Mischiare la farina, il sale e lo zucchero e versarci il lievito e cominciare ad impastare, versare poi l'olio e per ultimo le uova, uno ad uno, fino alla loro incorporazione. Lavorare fino a che l'impasto si stacchi perfettamente dalla ciotola, lasciandola pulita. Lasciar lievitare per almeno due ore, dopodichè, sgonfiare l'impasto e tagliarlo in due parti uguali. Tagliare poi ognuna delle parti in tre. Stendere su un piano infarinato ognuna delle parti lunghe circa 35 centimetri e larghe 15. Spargere l'uva passa sulle tre parti. Arrotolarle poi sulla lunghezza, in modo da ottenere tre lungi "salsicciotti". Unirli da un capo e cominciare ad intrecciare. Ripetere l'operazione per la seconda treccia. Adagiare le trecce su una placca da forno unta di olio. Lasciare lievitare ancora due ore. Sbattere il tuorlo d'uovo con un cucchiaio di acqua e spennellarlo sulla superficie; spolverare di semi di sesamo o papavero. Infornare in forno già caldo e statico a 200°C per circa 15-20 minuti.

domenica 26 novembre 2017

Un Paris-brest giallo zafferano

Le spezie fanno parte di un mondo a sé, pieno di aromi, profumi e colori che, se dosati correttamente, regalano ai piatti sfumature spesso inaspettate. In occasione della giornata dello zafferano, il 30 ottobre scorso, il Calendario del Cibo Italiano ha organizzato un tour per le colline di Firenze dove, a Bellosguardo, si coltiva una varietà, tipica della zona, denominata Zima i cui i produttori fanno parte dell’Associazione Comitato Produttori Zafferano delle Colline Fiorentine e del Consorzio Zafferano delle Colline Fiorentine “Zima”. Uno di questi produttori, José Jil, ha appunto aperto le porte della sua piantagione ai partecipanti il tour. 




Nella stessa giornata è stato proposto di creare un dolce con questa spezia e l’occasione era troppo ghiotta e particolare per lasciarsela scappare di mano ma, prima di lasciarvi alla ricetta, qualche piccolo dettagli su questa spezia colorata e preziosa direi che è doveroso.
“Lo zafferano è una spezia che si ottiene dagli stigmi del fiore del Crocus Sativus, conosciuto anche come zafferano vero, una pianta della famiglia delle Iridacee. La pianta di zafferano vero cresce fino a 20–30 cm e dà fino a quattro frutti, ognuno con tre stigmi color cremisi intenso. Gli steli e gli stigmi vengono raccolti e fatti seccare per essere usati principalmente in cucina, come condimento e colorante. Lo zafferano, annoverato tra le spezie più costose del mondo, è originario della Grecia o dell'Asia Minore e fu coltivato per la prima volta in Grecia. Come clone geneticamente monomorfo, si è diffuso lentamente per la maggior parte dell'Eurasia e più tardi è stato portato in aree del Nord Africa, dell'America del Nord e dell'Oceania. Lo zafferano vero, la cui specie selvatica è sconosciuta, probabilmente discende dal Crocus cartwrightianus, originario dell'isola di Creta; il Crocus Thomasii e il Crocus Pallasii sono altri possibili precursori. La pianta è un triploide autoincompatibile il cui maschio è sterile; subisce una meiosi aberrante e quindi non è capace di riprodursi sessualmente in maniera indipendente. La propagazione avviene infatti con
PH Anna Laura Mattesini
moltiplicazione vegetativa, attraverso la selezione di un clone iniziale o per ibridazione interspecifica. Se il Crocus Sativus è una forma mutata del Crocus Cartwrightianus, potrebbe essersi sviluppata come specie, preferita per i lunghi stigmi, da una selezione vegetale nella Creta della tarda età del bronzo. Il sapore dello zafferano e l'odore simile a fieno e iodoformio sono dovuti alle molecole picrocrocina e safranale. Contiene inoltre un pigmento carotenoide, la crocina, che dà una tonalità giallo-dorata ai piatti e ai tessuti. La sua storia documentata comincia con un trattato botanico assiro del VII secolo a.C. compilato sotto il regno di Sardanapalo e per oltre quattro millenni è stato commerciato ed usato. Attualmente la produzione iraniana di zafferano rappresenta il 90% di quella mondiale”.
Fonti Wikipedia

La raccolta degli stigmi viene effettuata rigorosamente a mano e questo la rende una spezia pregiata e costosa, infatti per produrne un kg sono necessari circa 100.000 fiori. Tuttavia il suo consumo va dosato con parsimonia in quanto in dosi eccessive si può incorrere in effetti collaterali anche gravi.

In Italia stanno nascendo diverse nuove coltivazioni avviate da giovani agricoltori e le zone di maggiore diffusione sono Toscana, Abruzzo, Umbria, Marche, Calabria, Sicilia e in Sardegna.

Come accennato sopra, il Calendario ha proposto di creare un dolce allo zafferano e io ho scelto di preparane uno piuttosto semplice nell’esecuzione ma composto da diversi elementi che, assemblati, a mio giudizio regalano al palato una sensazione davvero sublime. Volete sapere di cosa si tratta? Munitevi dei preziosi stigmi e seguitemi in cucina, non ve ne pentirete!

Paris-brest con crema al latte allo zafferano e croccante salato

Ingredienti (per 10 persone circa)

La pasta craquelin
50 g di zucchero di canna
50 g di burro
40 g di farina debole 180W
10 g di farina di pistacchio

Il bignè
150 g di acqua
100 g di latte intero
100 g di burro
1 pizzico di sale
150 g di farina 250 g di uova (5 uova circa)

Il croccante salato
50 g di pistacchi
50 g di noci di macadamia
100 g di zucchero semolato
0,5 g di fiocchi di sale Maldon (o fior di sale)

La crema al latte
800 ml di latte fresco intero
200 ml di panna fresca
160 g di farina debole 180W
150 g di zucchero semolato
15 stigmi di zafferano (0,10 grammi circa)
½ bacca di vaniglia (solo la polpa)

La crema allo zafferano e croccante salato
1 kg di crema al latte
10 g di gelatina animale
50 g di acqua
120 g di panna montata
120 g di croccante salato

Procedimento

Per la pasta craquelin
Impastare tutti gli ingredienti come per una pasta frolla, velocemente senza surriscaldare l’impasto, avvolgere in una pellicola e lasciare riposare in frigorifero almeno un’ora (10 – 15 minuti in congelatore). Dopo il riposo riprendere l’impasto e stenderlo molto sottile (4 mm circa) tra due fogli di carta forno, lasciando poi riposare ancora mezz’ora in frigorifero.

Per il bignè
Portare a bollore acqua, latte, burro e sale in una pentola a bordi alti. Appena inizia a bollire abbassare la fiamma, versare tutta insieme la farina e portare a cottura continuando a mescolare fino a che il composto (polentina) si stacca dalle pareti della pentola lasciandole pulite. Trasferire tutto nella ciotola della planetaria munita di foglia e far evaporare un po’ l’eccesso di calore facendo partire la macchina a velocità media. Quando si è stiepidito l’impasto aggiungere le uova uno alla volta lasciando sempre assorbire bene il precedente. Trasferite il composto in una sac a poche e formare degli spuntoni su una teglia, preferibilmente microforata, tenendoli abbastanza vicini uno all’altro in modo che in cottura prenda la classica forma a ciambella del paris-brest. Riprendere la craquelin ben fredda, copparla con uno stampino in modo da creare dei piccoli dischi e appoggiarli sul bignè. Cuocere in forno a 190°C per 15 – 20 minuti circa, sfornare e lasciare raffreddare completamente.

Per il croccante salato
Tostare leggermente la frutta secca in forno, facendo molta attenzione a non bruciarla, tritarla grossolanamente a coltello fino a formare una granella e tenere da parte. Scaldare bene sul fuoco un pentolino dal fondo pesante e fare un caramello biondo aggiungendo un poco alla volta lo zucchero, mischiato al sale, man mano che si scioglie continuando a mescolare. Quando il caramello è pronto allontanare dal fuoco, aggiungere la granella di frutta secca e mescolare immediatamente amalgamando il tutto. In questa fase bisogna essere molto veloci perché il caramello si rapprende in fretta. Stendere ancora caldo, facendo attenzione a non bruciarsi, su un silpat o un foglio di carta forno e lasciare raffreddare bene. Spezzare il croccante in piccoli pezzi e tenere da parte.

Per la crema al latte
Dalla dose di latte in ricetta prelevarne 80 g circa, riscaldarlo un po’ e metterci in infusione gli stigmi di zafferano*. Coprire bene (preferibilmente con pellicola a contatto) e lasciare riposare almeno 24 ore in frigorifero. Al momento dell’utilizzo filtrare il liquido, eliminando gli stigmi, e tenere da parte.
Setacciare la farina nella pentola dove cuocere la crema, unire lo zucchero e mescolare bene con una frusta. Unire la polpa di vaniglia e aggiungere, poco per volta, latte e panna mescolati insieme facendo attenzione a non formare grumi. Portare su fuoco moderato mescolando di continuo e lasciando cuocere fino a che non comincia a prendere spessore la crema, abbassate la fiamma e lasciate cuocere bene*. Qualche minuto prima della fine della cottura aggiungete il latte allo zafferano e amalgamate bene. A cottura ultimata allontanare dal fuoco e versare la crema in una boulle immersa in acqua fredda continuando a mescolare in modo che possa raffreddare bene.  Coprire con pellicola a contatto e conservare in frigorifero.

Per la crema allo zafferano e croccante salato
Idratare la gelatina nella sua dose di acqua. A completo assorbimenti strizzarla e scioglierla in poca crema riscaldata, amalgamare bene, filtrare con un colino a maglie fitte e unire al resto della crema fredda, mescolando accuratamente. Lasciare in frigorifero a rassodare. Frullare grossolanamente in un cutter il croccante fino a ridurlo in granella. A parte montare la panna a “lucido”. Riprendere la crema allo zafferano e mescolare con una frusta fino a renderla liscia e lucida, unire la granella di croccante e amalgamare con cura. Aggiungere, in due volte e mescolando delicatamente dal basso verso l’alto, la panna montata fino a completo assorbimento.

Finitura
Tagliare il bignè in orizzontale con un taglio più preciso possibile ottenendo due parti uguali. Riempire di crema una sac a poche munita di bocchetta rigata e formare degli spuntoni nella parte bassa del bignè, coprire tutto appoggiando l’altra metà del bignè sopra la crema. Decorare spolverizzando di zucchero a velo e piccole “pepite” di croccante.

N.B.: *Perché gli stigmi dello zafferano sprigionino il loro aroma e rilascino il loro colore in modo corretto hanno bisogno di un periodo di infusione in un liquido (acqua, latte, ecc.). Essendo però termolabile la temperatura di infusione non può essere elevata altrimenti le caratteristiche organolettiche della spezia vengono alterate. Qualsiasi sia il liquido che si sceglie per l’infusione è preferibile che la sua temperatura sia appena intiepidita e che i tempi di infusione siano il più possibile rispettati in modo che il risultato sia quello corretto.


*Le creme addensate con farina richiedono una cottura più prolungata delle creme pasticcere classiche. La temperatura ideale da raggiungere con questo addensante, per evitare il rilascio dei liquidi e la perdita di consistenza (sineresi), è di 90° - 92°C. Temperatura che, in questo caso, si può raggiungere senza il rischio che all'olfatto si avverta un sentore di zolfo in quanto questa crema è completamente priva di uova.




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giovedì 23 novembre 2017

Cioccolato e peperoncino in una pralina: quando si dice "afrodisiaco"!

Il piccante per una calabrese è quasi di routine se si parla di cucina. Il peperoncino, o meglio… i peperoncini sono il pane (quasi) quotidiano di ogni casalinga/massaia/buongustaia calabra che si rispetti e non ci sono eccezioni di sorta. Quando il 3 settembre, in occasione della Giornata Nazionale del Peperoncino per il Calendario del Cibo Italiano, è stato proposto di creare una ricetta che abbia di base questa spezia mi sono sentita chiamata in causa in prima persona… e non potevo certo esimermi da un invito tanto allettante! Quando poi ho ricevuto il cofanetto di Rita dell’Azienda Peperita contenente una vasta varietà di quello che io chiamo “il gusto della mia terra”, i neuroni hanno cominciato a fare le capriole. Chi è Rita? È la proprietaria dell’azienda Peperita che produce peperoncini di tutti i tipi, gusti, colori e gradi di piccantezza di cui, lo ammetto, non ero nemmeno a conoscenza. Peperoncini provenienti da tutto il mondo, ognuno con il proprio sapore e le proprie sfumature che regalano ai piatti quella marcia in più.  Grazie alle indicazioni di Rita per distinguere le differenze tra le diverse varietà e il modo migliore per poterle utilizzare, ho pensato che il modo migliore per provare il contenuto di uno di quei flaconcini del cofanetto era magari impiegarlo in qualcosa di dolce. E siccome peperoncino è sinonimo di afrodisiaco, a cosa si potrebbe accompagnare che abbia le stesse caratteristiche nel mondo della pasticceria se non che con il cioccolato? E allora… apriamo il Naga Yellow e, in collaborazione con l’Azienda Peperita, ecco le mie praline dal cuore caldo.



Il temperaggio del cioccolato

Prima di cominciare con le dosi della ricetta è necessaria qualche nozione basilare per il temperaggio.
Il temperaggio del cioccolato è un procedimento non difficile di per sé, ma che richiede esercizio, manualità e tanta attenzione alle temperature. Per questo è fondamentale, soprattutto all’inizio, munirsi di termometro digitale, questo permetterà il controllo preciso dei gradi a cui portare il cioccolato per un utilizzo ottimale. Questa operazione serve a sciogliere tutti i componenti del cioccolato e le sue molecole per poi lavorarlo e portarlo a cristallizzazione in modo che possa assumere le caratteristiche di croccantezza e lucentezza nella sua forma finale.
Per un corretto temperaggio ci sono diverse tecniche da utilizzare: la lavorazione sul marmo, per inseminazione o con l’ausilio delle macchine.
Per la lavorazione sul marmo si scioglie il cioccolato, preferibilmente al microonde azionandolo 30 secondi per volta in modo da non bruciarlo, ad una temperatura che va dai 40°C ad un massimo di 50°C, in base al tipo di cioccolato da utilizzare. Una volta raggiunta la temperatura di scioglimento il cioccolato va “lavorato” e tenuto in movimento versandone ¾ su una lestra di marmo, spatolandolo in modo da abbassare velocemente la temperatura per poi riportarla su con il resto del cioccolato caldo rimasto nella ciotola.
Come scritto sopra, ogni tipo di cioccolato si scioglie e si lavora ad una temperatura diversa e specifica:
-              Il cioccolato bianco si scioglie a 40°C, si abbassa a 24°-25°C e si riporta a 28°-29°C
-              Il cioccolato al latte si scioglie a 45°C, si abbassa a 26°C e si riporta a 29°-30°C
-              Il fondente, sciolto ad una temperatura massima di 50°C, si abbassa a 28°-29°C per poi arrivare a portarlo dai 30°C ai 32°C con il cioccolato caldo tenuto da parte. Per un risultato perfetto la temperatura ideale è di 31°C.
Un altro metodo di temperaggio e quello per inseminazione mediante il quale, dopo aver sciolto il cioccolato alle temperature di cui sopra, si aggiunge del cioccolato tritato o in gocce mescolando continuamente e in modo rapido per far sì che anche così la temperatura scenda velocemente.
Per le grandi produzioni, nei laboratori artigianali e non, vengono impiegate delle macchine temperatrici che aiutano e facilitano il lavoro dei cioccolatieri. A livello casalingo ci sono, in commercio, delle macchine scioglitrici che, nel loro piccolo, possono sopperire e facilitare anche gli amatoriali portando direttamente il cioccolato alla temperatura ideale di utilizzo. Basta prepararla la sera prima con il cioccolato da sciogliere, impostare la temperatura desiderata di temperaggio lasciandolo acceso tutta la notte. Il mattino successivo basterà dare un’energica spatolata ed il cioccolato sarà pronto da utilizzare.

N.B.: Il cioccolato teme l’umidità e l’acqua, se possibile evitare di scioglierlo a bagnomaria in quanto, anche solo una piccola goccia di vapore può portare a “granire” il cioccolato rovinando la sua struttura e rendendolo impossibile da temperare. Nel caso ci si trovasse davanti a cioccolato con questi problemi lo si può comunque utilizzare per fare mousse, ganache o creme.

Praline dal cuore caldo

Ingredienti (per 40-50 praline circa):

Per la ganache
100 g zucchero semolato
40 g destrosio
140 g panna liquida 35% m.g.
200 g cioccolato al latte 30%
60 g burro 82% m.g.
4 g sale Maldon in fiocchi (o fior di sale)
0,12 peperoncino in polvere Naga Yellow Azienda Peperita

Per la camicia
400 g di cioccolato fondente 85% (monorigine Venezuela)

Procedimento

Per la ganache
La sera prima preparare la ganache scaldando bene un pentolino di acciaio con bordi alti e fondo spesso, versare un poco alla volta zucchero e destrosio mescolati insieme, portare a colorazione bionda (175°) mescolando con un cucchiaio di legno e unire il sale facendolo sciogliere bene. A parte, portare a bollore la panna, decuocere il caramello su fuoco basso aggiungendo la panna calda e continuando a mescolate accuratamente (fare molta attenzione agli schizzi). A cottura ultimata allontanare dal fuoco e portare il composto a 70°C, unire il cioccolato tritato e la polvere di peperoncino, emulsionare cercando di non incorporare aria per evitare la formazione di bolle e infine aggiungere il burro morbido incorporandolo bene al resto. Tenere in frigorifero ben coperto con pellicola a contatto fino al momento dell’utilizzo.

Per la camicia
Colare, con un sac a poche, il cioccolato temperato negli stampi in policarbonato, capovolgerli eliminando l’eccedenza e, con una raschietta apposita, raschiare l’eccesso rimasto sui bordi dello stampo. Appoggiare capovolto su un foglio di carta da forno in modo che formi “lo zoccolo” per la chiusura e lasciare riposare un paio di minuti. Mettere a cristallizzare in orizzontale in frigorifero o comunque a 5°C fino a quando i gusci non si staccano dallo stampo.

Finitura
Riempire i gusci con la ganache a 27°C circa, sempre servendosi di sac a poche e, dopo un’ulteriore riposo in frigo di qualche minuto per far stabilizzare il ripieno, chiudere le praline con il restante cioccolato temperato (pulendo sempre bene con la raschietta in modo che si possa eliminare l’eccedenza) e lasciare cristallizzare in frigorifero. Sformare le praline capovolgendo lo stampo su un foglio di carta forno e riporlo in una scatola a chiusura ermetica in modo che non assorba odori, conservandolo ad una temperatura compresa tra i 15°C e i 20°C, preferibilmente a 18°C per una conservazione perfetta.

N.B.: il cioccolato teme l’umidità, non va mai conservato in frigorifero. Perché mantenga le sue caratteristiche conservare al riparo da luce e fonti di calore. Inoltre, essendo un materiale che assorbe facilmente gli odori, conservarlo sempre in scatole di latta a chiusura ermetica.


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lunedì 6 novembre 2017

Quando la frutta incontra la brisèe: tortino di pere e noci.

Quando penso ad un dolce semplice per concludere un pasto rustico mi viene in mente un piccolo tortino con un guscio sottile e un ripieno morbido di frutta. Nella giornata della Pera per il Calendario del Cibo Italiano ho preparato un tortino la cui ricetta è stata pubblicata su Cucina Italiana tempo fa. Il guscio è una pasta brisèe semplice ma gustosa e il suo ripieno ha delle morbide pere al vino e croccante frutta secca. L’ho riprodotta esattamente come letta sulla rivista e, visto che non era specificato il tipo di vino da usare per cuocere la frutta, io ho utilizzato del Porto che le dà un’ulteriore dolcezza. Lo trovo perfetto da servire anche tiepido, magari accompagnato da un buon gelato alla vaniglia (troverete la ricetta qui). 

  

Tortino di pere e noci


Tempo di preparazione: 1 ora e 20 minuti + 30 minuti per il riposo)

Ingredienti (per 4 pie):

Pasta brisée
300 g di farina 0
150 g di burro
70 g acqua
Sale

Ripieno
30 g di biscotti secchi
20 g di mandorle bianche
15 g di gherigli di noce
2 pere (350 g circa)
100 g di vino rosso
40 g di zucchero
1 uovo per spennellare
 Burro per gli stampi

Procedimento

La pasta brisée
Impastate farina, burro, un pizzico di sale e l’acqua fino a formare un panetto sodo e liscio, avvolgetelo in una pellicola per alimenti e lasciate riposare in frigo per 30 minuti.

Il ripieno

Sbucciate le pere, eliminatene il torsolo e tagliatele a piccoli pezzi. Cuocetele con il vino e lo zucchero per 5 minuti, fatele raffreddare e unite mandorle, noci e biscotti tritati. Stendere la pasta a 5 mm e foderate 4 stampini (da 8 cm di diametro e 4,5 cm di altezza) imburrati e con il fondo ricoperto da un disco di carta forno. Forare il fondo con i rebbi di una forchetta, riempire con il ripieno e coprire con un disco di pasta grande a sufficienza da poter chiudere le tortine e sigillare bene pizzicandone i bordi. Forare la parte superiore formando un camino per la fuoriuscita del vapore e decorarlo con una margherita di pasta. Spennellare di uovo e cuocere in forno a 185°C per 36-40 minuti.  





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